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Paolo Loschi: la consapevolezza dell’attimo
“Risvegliato improvvisamente da un sogno agitato, mi ritrovo a osservare il mio cervello adagiato sul lavandino del bagno. Al posto dei lobi cerebrali una fitta colonia di tentacoli di attinia emanano un tripudio di colori ancestrali e quasi impalpabili: il verde malachite, il blu del cielo e del mare, la purezza del bianco, la forza viscerale del rosso. Incastonate nella materia mi accorgo della presenza di tre telline. Spinto da una forza risolutrice, le estraggo come una scheggia dalla pelle e mi lascio andare a un sospiro di sollievo e di rinnovamento. Non mi rimaneva che raccogliere il cervello così purificato e indossarlo nuovamente, con la speranza che tutto funzionasse”.
Non si tratta di un racconto di E. A. Poe né di un’allucinazione di H.P.Lovecraft, ma di un sogno raccontato dall’artista Paolo Loschi che svela la natura subconscia del recente ciclo di opere intitolato: Telline (Self Portrait, Uomo Terra, ecc.). Un sogno interpretato dall’artista come monito, risveglio della propria coscienza, punto di svolta per approdare a un rinnovamento interiore e creativo, al superamento di una forma mentis quotidiana e metodica. Una rivelazione che libera le forze sepolte dell’interiorità e le riversa di getto sul foglio di carta in una sorta di automatismo psichico dal sapore surrealista. Il coinvolgimento fisico e mentale dell’autore è tale da sprofondare in una dilatazione temporale che coincide con il suo fare pittorico protraendo il sogno nello stato di veglia.
Alla base dell’operazione creativa un linguaggio figurativo d’immediata forza evocativa, capace di raggiungere risultati di ferma poesia. La linea incisiva, il colore evanescente, la luce cosmica primigenia, tracciano l’immagine dell’Io in costante metamorfosi, dando vita a un repertorio di soggetti dai tratti inquietanti ma non privi di ironia, resi dall’artista con libere ed espressive distorsioni fisiognomiche. Espliciti i riferimenti simbolici al terzo occhio, alla capacità dell’individuo di esplorare dimensioni sottili – come il sogno – grazie alla conoscenza intuitiva e alle facoltà sensoriali della ghiandola pineale, collocata nella parte posteriore del cranio all’altezza degli occhi. La perdita di tale capacità nella maggior parte degli individui rappresenta metaforicamente l’attuale crisi di coscienza e indifferenza del mondo in cui viviamo e del suo microcosmo.
La consapevolezza che ogni piccolo evento può cambiare la nostra vita è maturata nella mente di Paolo Loschi fin dai suoi esordi. Momenti o persone in apparenza insignificanti possono inconsapevolmente indicarci la strada da percorrere. Com’è accaduto all’artista durante il suo soggiorno a Cadice, in Spagna, dal quale hanno preso vita nel 2006 la serie Angel de Tierra, un angelo che non può volare perché ha una missione da compiere sulla terra: elevare il comune sentire. Da quella pittura che potremmo definire “espressionista”, composta da violenza gestuale e cromatica che a tratti oltrepassa l’immagine figurale, l’artista recupera successivamente un linguaggio maggiormente descrittivo concentrato sulla figura umana, attorno alla quale si sviluppa la poetica del rinnovamento inteso come rinascita mentale e fisica, che rianima il corpo di nuova energia. Una metamorfosi interiore irreversibile, raccontata con uno stile grafico incisivo e tagliente. La linea tormentata e continua – spesso associata al collage e alla macchia d’inchiostro o acquarello – solca il foglio di carta descrivendo personaggi dai tratti grotteschi sottoposti a violente deformazioni anatomiche (parti scheletriche, organi vitali, ramificazioni tendinee o vascolari) associate a dettagli simbolico-allusivi (Cristal Glove , B-bones, ecc.).
Il ritratto dell’uomo moderno emerge anche in opere di più ampio respiro come il ciclo Edilizia ispirato alla sceneggiatura di “Cave! Lo stivale di cemento”, spettacolo teatrale del 2009. Oltre a denunciare le devastazioni speculative dell’edilizia nel Nord Est, Paolo Loschi si sofferma sulla progressiva alienazione dell’individuo che trova rifugio dentro la propria abitazione, confondendo sempre più spesso il suo isolamento dal mondo esterno con una felicità autosufficiente e privata.
Di Marco StoppaG